Il narcisista e il diavolo
Giuseppe Montaldo06-07-2018
Tempo di lettura: 11 minuti

Qualunque cosa sogni d’intraprendere, cominciala. L’audacia ha del genio, del potere, della magia.

(Johann Wolfgang Von Goethe)

Il narcisista e il diavolo

      Alessandra era bellissima, alta, elegante e perfetta, gli occhi verdi di una
tonalità indefinibile, gli zigomi alti. I capelli castano chiari ondulati e liberi le davano un’aria selvaggia che accresceva il suo fascino. Ma tutto questo non bastava. Lei emanava luce, pura energia. La sua voce era musicale ed ipnotizzante ed inoltre era simpaticissima e spiritosa.
    Stava aspettando l’autobus che l’avrebbe portata a Castello, la sua città natale,
dove vivevano i suoi genitori. Era impaziente, era sempre impaziente come se si aspettasse sempre qualcosa che non arrivava mai. Poteva essere la felicità che sembrava sfuggirle ogni volta che più si avvicinava a lei. Quando stava per sentirla vicina, quando percepiva che questa sarebbe stata la volta buona, improvvisamente questa si volatilizzava e doveva ricominciare tutto daccapo.
    Andava dai suoi genitori ogni 15 giorni. Era stato il suo impegno con se stessa dopo che aveva deciso di separarsi da loro e di andare per la sua strada. Non lo faceva perché si sentiva in colpa. La sua non era stata una fuga impulsiva, anzi l’aveva meditata a lungo. E non era fuggita perché non si sentiva amata ma per l’esatto contrario: era stata sempre amata da loro e li amava troppo. 
    Poi l’atmosfera in famiglia era diventata irrespirabile. Lei era il punto di riferimento di entrambi i genitori e possiamo dire che Alessandra era quella che teneva unita la famiglia. Ma, se aveva deciso di andarsene, era stato perché il peso che si portava addosso la stava letteralmente schiacciando.
    Continuava ad andare avanti e indietro come se dall’arrivo dell’autobus dipendesse tutta la sua vita. Era una sua modalità normale questa impazienza ma oggi era di più, era veramente troppa. C’era come un valore aggiunto. Era come se percepisse che in quella giornata, in quel trasferimento, fosse contenuto qualcosa di importante, di molto speciale e, anche se inconsapevolmente, l’impazienza cresceva ogni secondo e lei non riusciva più a stare dentro se stessa. Aveva voglia di esplodere. La tensione era diventata altissima. Ma lei viveva tutto così e le emozioni forti non la destabilizzavano né le facevano perdere energia. E non si ammalava mai. Però questo suo modo di essere la faceva sbandare parecchio ed era sempre poco sicura di se stessa. Si svalorizzava molto e cercava sempre qualcosa che riempisse questo suo perenne vuoto esistenziale.
    Le sue amiche, per definirla, usavano questa frase: “Ale, tu sei una Ferrari; hai la potenza, la bellezza e l’eleganza di una Ferrari; hai anche il suo ruggito ma ancora non hai imparato a guidarla. Quando imparerai a farlo avrai il mondo ai tuoi piedi. E l’Universo ti colmerà di doni che nemmeno ti aspetti e senza che nemmeno abbia il bisogno di chiederli.” Lei ci credeva e non ci credeva. In realtà, nella sua mente conosceva le sue doti, i suoi talenti, le sue potenzialità.
    La vita glielo aveva dimostrato più di una volta sia nel lavoro e sia nelle relazioni. Però, emozionalmente, non riusciva sentire queste sue doti ed era insoddisfatta di tutto: della famiglia, del lavoro e del suo attuale partner. Era come ci fosse un distacco da ciò che desiderava e ciò che la vita le portava. Allo stesso tempo non faceva nulla per cambiare e si teneva sia il partner, sia il lavoro rimanendo in una situazione di impotenza perenne. La paura del cambiamento, dell’ignoto erano più forti dell’insoddisfazione che viveva. Ma almeno lo ‘status quo’ le dava sicurezza. Solo la famiglia, nonostante le sue pesantezze e nonostante i conflitti che ogni tanto viveva coi genitori, le riempiva il cuore ed ogni volta che rientrava a casa abbracciava i suoi genitori con infinito amore ed era felice di stare un po’ con loro.
    Aveva da poco letto un libro che aveva fatto un po’ di luce sul suo modo di esistere e di affrontare la vita. Questo libro le aveva fatto capire delle cose importanti e lei stava imparando ad osservarsi ed a conoscersi meglio perché era veramente arrivata ad un punto morto a sentiva il bisogno di cambiare. Anche se, molto spesso, per non sentire il dolore, si diceva che non c’era nessun cambiamento possibile. Insomma si sforzava di accontentarsi della sua tristezza e resisteva alla ricerca della felicità. 
    Era troppo difficile e doloroso cercare la felicità. E poi, si diceva, la felicità non esiste; la vita è tutta qui.
    Oscillando con questi pensieri all’interno del suo conflitto, una cosa l’aveva colpita riguardo a questo libro: dentro di noi esiste l’avversario; colui che ci rende la vita difficile e che ci mette sempre alla prova, come il diavolo; quello che ci costringe a combattere ed a lottare per raggiungere i nostri traguardi, per superare delle prove. Aveva preso coraggio perché aveva pensato che, se questo era vero, dietro la sua paura del cambiamento, dietro il velo della sua insicurezza, ci potesse essere qualcosa di veramente bello, qualcosa per cui valesse la pena di perdere le sue attuali e tristi sicurezze!
    Era talmente immersa nei suoi pensieri che non si accorse che un uomo, a fianco a lei stava richiamando la sua attenzione.
    “Mi scusi, buongiorno; va anche lei a Meridia?”
    Lei ebbe una specie di sobbalzo, come se si risvegliasse da un sogno. La domanda la riportò alla realtà. Era un uomo più giovane di lei e alto meno di lei, apparentemente insignificante e totalmente privo di appeal ma qualcosa di lui lo colpì. Non sapeva cosa fosse ma gli rispose subito con piacere. Lui emanava un’energia tranquilla e sembrava pieno di empatia. In più le dava l’impressione di un uomo pieno di spirito e la divertiva solo a guardarlo.
    “No, io vado a Castello.”
    “Ah, la grande città! Ha saputo dell’incendio?”
    “No, mah, a Castello?” 
    replicò lei cominciando a preoccuparsi
    “No, Non lì. Vede io sono un ispettore di polizia e sto andando a Meridia, che tra l’altro è il mio paese di origine, per indagare su un incendio doloso. Da quel poco che le posso ancora dire è una storia allucinante. Sembra che ieri, l’ultimo giorno di carnevale, un uomo vestito da diavolo abbia dato fuoco ad una chiesa.”
    “Divertente”
    “Si. Ma c’è molto di più! Il diavolo sembra che avesse un
complice.”
    “Davvero?” replicò lei tra il serio ed il faceto. Non capiva se lui la stesse prendendo in giro, con quel suo modo di raccontare serio ma pieno di ironia; tuttavia era divertita e si sentiva più leggera. L’ansia e l’impazienza erano scomparse e pensò che era un miracolo che delle stupide battute avessero potuto provocare questo effetto.
    “Ma c’è dell’altro.”
    “Davvero?” lo interruppe lei
    “Si” rispose lui e poi fece una pausa.
    “Il complice era il prete.” E la guardò dal basso verso l’alto sollevando leggermente le sopracciglia per vedere la sua reazione.
Lei esplose in una risata e rimase ridendo un po’ di tempo senza riuscire a fermarsi. Lui la osservava. Sapeva cosa stava succedendo.
   L’aveva sperimentato un sacco di volte. 
   Fecero il viaggio insieme seduti l’uno a fianco dell’altra in un continuo tripudio di battute dalle più eleganti alle più idiote. Ma tutte la gratificavano e la facevano divertire e, durante tutto il viaggio, non aveva fatto altro che ridere. Qualcosa di forte stava accadendo tra loro e, quando lui era sceso, si erano scambiati i numeri di telefono.
    Le sue paure del cambiamento si volatilizzarono come d’incanto e la vecchia relazione sparì letteralmente dalla sua vita senza strascichi.
    Dopo due anni fecero il grande passo: decisero di andare a vivere assieme.
    Erano stati due anni molto compulsivi dati i loro particolari caratteri emotivamente estremi con stati di tensione sempre alti; tuttavia continuavano a piacersi ed a stare bene assieme per cui presero l’importante decisione. Ma c’era un però che l’aveva lasciata nel dubbio e che le faceva paura. Di questo non gli aveva mai parlato. 
    Le era mancato il coraggio. Non che non si fidasse di lui ma non voleva dare troppa importanza a questo suo sottile e ancora incerto disagio che riguardava alcuni suoi modi di fare che l’avevano messa in difficoltà ed a volte fatta anche soffrire.
    All’inizio aveva fatto finta di non vedere certi suoi comportamenti ma ora si rendeva conto che cominciavano a ripetersi un po’ troppo spesso.
    Più di una volta, per esempio, se decideva di passare una serata da sola o andare a cena con le sue amiche o fare qualsiasi altra cosa da sola, lui interrompeva le comunicazioni e non si faceva sentire per giorni. Lei stava male ma poi, quando lui la ricercava, la sua sofferenza spariva come d’incanto sino al prossimo episodio. Spesso, quando lei era allegra, improvvisamente entrava in un mutismo per lei incomprensibile. Lei faceva di tutto per aiutarlo perché capiva che era in crisi ma era come sbattere contro un muro.
    A volte sembrava indispettito dalla sua empatia. Come se lei, mostrandosi così disponibile nei suoi confronti, sfuggisse al suo controllo. La conseguenza era sempre che Lui si chiudeva ancora di 
più. Il suo spirito era sparito e cercava sempre più spesso di ferirla e farla sentire in adeguata. Come se le dicesse: non sei proprio capace di amarmi. All’inizio tutto questo l’aveva fatta sentire in colpa e questo gioco la esasperava. Ma poi qualcosa dentro di lei si ruppe e la continua sofferenza le domandò: non ne hai avuto abbastanza?
    Tuttavia, quando ritornava ‘normale’, lei si riempiva di felicità per lo scampato pericolo e facilmente dimenticava tutto. Poi, pensava, forse sono io che ingrandisco tutto ed aveva accettato di andare a convivere ripromettendosi di dare meno importanza a questi episodi.
    Purtroppo però le cose non andarono come lei sperava anzi peggiorarono abbastanza rapidamente. Lui era sempre molto impegnato nel lavoro e spessissimo frequentava dei corsi che lo tenevano lontano dalla loro città.           Quindi spariva per giorni lasciandola sola. 
    Dopo un po’ di tempo in cui era stata veramente male, alla fine si era abituata alla solitudine e cominciava a trovare una sua dimensione anche quando lui non c’era. Ma con una piccola differenza. La solitudine non le faceva più paura come prima ed allora lei riuscì a fare uscire tutto quello che aveva accumulato dentro di sé. 
    Gli esprimeva chiaramente il suo disagio e, urlandogli con grande sentimento tutto il suo disappunto, gli indicava la porta di casa. Il messaggio era: se te ne vai per me non cambia niente; posso fare benissimo a meno di te.        Lui, inizialmente, ci rimaneva male ma poi riusciva a riportare sempre la relazione sul binario della normalità ed entrambi si dimenticavano di quello che era successo.
    Niente fu più come prima. Ormai erano sempre più lunghi i periodi di totale infelicità e malessere. Ma lei trovava sempre una ragione per rientrare nella relazione e sentirsi ‘felice’.
    Era consapevole che la storia era finita e le incomprensioni e i conflitti erano sempre peggio. Ormai era sempre più assente e, quando c’era non faceva altro che svalorizzarla e mortificarla.
    Tuttavia non riusciva ad andarsene. La paura dell’abbandono era più forte di qualsiasi umiliazione e di qualsiasi malessere lei provasse.
    L’Universo le venne in aiuto. In piena notte si svegliò di soprassalto. Lui le aveva dato uno schiaffo violento al seno. Fu presa dal panico. Raccolse velocemente le sue cose e fuggì via. Per fortuna aveva un’amica che poteva ospitarla. Anche se era notte fonda l’amica l’accolse e l’abbracciò.
    Nei giorni successivi si rese conto che era tempo di elaborare il lutto ma il conflitto dentro di lei era feroce. La mente le diceva, e le sue migliori amiche glielo confermavano incoraggiandola a staccarsi, che la storia era finita, che non si sta in una relazione per vivere male, che con un uomo così non c’era futuro. E lei era d’accordo! Ma il sentimento dentro di lei la spingeva a desiderare l’opposto, a sperare che lui la richiamasse. E questa pulsione dentro di lei era fortissima e non riusciva a governarla. Ma lui non richiamava.
    Erano passati tre mesi e lui non si era mai fatto sentire.
    “E tu pensi ancora ad un uomo che non dimostra il minimo amore per te? In tre mesi silenzio assoluto!” 
    Le dicevano le amiche.
    “Hanno ragione.” si diceva “Devo elaborare questo lutto!”
    Chiese aiuto ad un amico.
    “Forse perché sei arrivata al nocciolo. E stai toccando la paura di quello che non vuoi mollare, che tiene in piedi le tue false sicurezze.
    Devi cercare di entrare il contatto col vuoto assoluto che senti dentro, quello della morte in cui non ci sono più certezze e controllo. E quando ti abbandoni a questa perdita ineluttabile e senti che ti strazia le viscere, ti rendi conto che sei un minuscolo puntino, quasi un nulla, senti una grande liberazione, una grande leggerezza... e cominci a percepire l`infinito dentro e fuori di te.”
    E provi una libertà come non l’hai mai sentita prima!


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