Ascoltate dentro di voi e guardate nell'Infinito dello Spazio e del Tempo. Là risuona il canto degli Astri, la voce dei Numeri, l'armonia delle Sfere. Ogni sole è un pensiero di Dio e ogni pianeta un’espressione di questo pensiero. È per conoscere il pensiero divino, o anime, che voi con fatica discendete e risalite il cammino dei sette pianeti e dei loro sette cieli.

(Ermete Trismegisto)

DARE PRENDERE

Dare e prendere

Stamattina, mentre passeggiavo sulla spiaggia, mi è capitato di ascoltare una mamma che diceva alla figlia di meno di 10 anni; la mamma era molto arrabbiata quasi urlante: “se la prossima volta non esci appena te lo dico vedrai quello che ti faccio.” 

Ovviamente non è la prima volta che mi capita. Sono tanti gli episodi di questo tipo e non solo al mare.


Mi ricordo qualche tempo fa in un agriturismo che una mamma aggredì letteralmente il figlio che si era permesso di rientrare bagnato dal giardino adiacente dove si era goduto qualche goccia di pioggia con sommo piacere. La prima cosa che mi sono chiesto è: ma questo bambino che messaggio ha ricevuto dalla mamma?

Beh il messaggio è semplice: se godo vengo sgridato quindi nella vita è proibito provare piacere.


Ed un bambino di quell'età, sempre meno di 10 anni, può recepire solo questo messaggio.


Perché funziona così? È molto semplice: fino 18 anni le nostre onde cerebrali non sono ancora sviluppate al massimo. 

Per cui tutto quello che ci capita ha, fino a quella età, un impatto esclusivamente emozionale che non può essere equilibrato dalla comprensione mentale tipo, per esempio: ‘oggi mia mamma è fuori’ 

Questo non è possibile perché le onde cerebrali più alte sono quelle della comprensione e del discernimento e, se ancora il nostro cervello non le possiede, la conseguenza è quella di ricevere impatti emozionali non elaborabili.

Quindi qual è la conseguenza? La conseguenza è che una emozione scrive un programma nel cervello, in questo caso ‘se godo vengo punito’, la cui forza è direttamente proporzionale al dolore che mia mamma mi ha fatto provare. 


L’altra domanda da porsi è: perché tanti genitori si comportano in questo modo? 

Per carità non sto certo dando colpe ai genitori che, molte volte sono condizionati dallo stress della vita di tutti i giorni e, a loro volta, dalle memorie non elaborate e/o non risolte. Voglio solo risalire alle dinamiche che hanno portato i genitori a comportarsi in questo modo.


Anche qui la risposta non è difficile da trovare: Stanno facendo pagare ai loro figli, in maniera molto inconsapevole, quello che i genitori hanno fatto pagare a loro. Ovviamente i loro genitori non hanno nessuna colpa anzi, man mano che ci liberiamo, dovremmo ricordarci di ringraziarli tutti i giorni per ciò che ci hanno donato, prima di tutto la vita. 


È solo il nostro modo di percepire il vissuto di quel periodo che ci ha, inconsapevolmente, portato a colpevolizzare i genitori per tutti i traumi subiti. E come possiamo andare oltre? Quando faccio questa osservazione molte persone mi rispondono: ‘io ho perdonato i miei genitori’.


Questo non è vero quasi mai. In realtà ci siamo sforzati di perdonarli ma siamo rimasti solo a livello mentale quindi superficiale. Non siamo entrati in profondità nel nostro dolore; perché questo fa male e molte volte non ne abbiamo voglia. Ma, nel momento in cui decidiamo di affrontare il problema dobbiamo entrarci. 


E come si fa? 

Si può risolvere ricordando una delle leggi fondamentali dalla vita: ci deve essere equilibrio tra il dare e il prendere. La conseguenza è che, se vogliamo fare pace – dentro di noi – con i nostri genitori, dobbiamo fare uscire tutto quello che ci è rimasto dentro: rabbia, pesi insostenibili, ingiustizie, umiliazioni, rifiuti e tradimenti.


Finchè non li facciamo uscire riconoscendoli, non potremo ‘prendere’ i nostri genitori e scaricheremo questo squilibrio nel mondo esterno, figli, partner, parenti, amici e i genitori stessi e questa modalità, se non la saniamo, ci porterà a colpevolizzare il mondo esterno delle ferite che ancora ci portiamo dentro. 


Il primo passo è la consapevolezza, il secondo è decidere di andare oltre; il terzo è scegliere come e con chi lavorare cioè da chi farsi aiutare. Ma è fondamentale, se si decide di fare un lavoro su di sé, capire che il lavoro non è indolore e bisogna essere pronti ad incontrare le nostre ferite. Solo così potremo accompagnarle verso l’uscita consentendole di cicatrizzarsi e di liberarci.


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