Giuseppe Montaldo06-10-2021

L’oscurità non può scacciare l’oscurità: solo la luce può farlo. L’odio non può scacciare l’odio: solo l’amore può farlo.

(Martin Luther King)

Tiraggio 4 carte (Wirth)

Posta una domanda, il responso è fornito da quattro arcani estratti successivamente dal mazzo dei Tarocchi, come verrà spiegato ora.  

Il primo arcano uscito è considerato come affermativo, interviene a favore della causa ed indica in modo generico tutto ciò che è pro. 

Per opposizione, il secondo arcano uscito è negativo e rappresenta ciò che è contro. 

L'arcano terzo estratto rappresenta il giudice che discute la causa e determina la sentenza. 

La sentenza, a sua volta, viene pronunciata dall'arcano uscito per ultimo

Un quinto arcano ha il compito di illuminare l'oracolo sintetizzandolo, poiché il responso dipende dai quattro arcani usciti.


Ognuno porta il numero che segna il suo posto nella serie dei Tarocchi. Il Matto, che non è numerato, conta per 22. Rilevati questi numeri, basta addizionarli per ottenere, sia direttamente, sia per riduzione teosofica, il numero d'ordine del quinto arcano (22 designa il Matto, 4 l'Imperatore, 2 l'Appeso, ecc.).

Addentriamoci ora nei particolari dell'operazione.

In primo luogo, conviene astenersi dall'abuso delle consultazioni sconsiderate, ripetute ad ogni proposito, al minimo capriccio e senza bisogno effettivo. Coloro che un tempo consultavano l'oracolo non si presentavano a mani vuote. 

La regola va osservata, ma è di rigore il disinteresse da parte dell'indovino. Il consultante s'imporrà quindi il sacrificio di una modica offerta, ma non interamente insignificante in confronto alle sue possibilità. 

Una cassetta per le elemosine, il cui contenuto andrà poi ai poveri, renderà meno frivola la divinazione.

Questo rito preliminare dà al consultante il diritto di ricevere un responso serio: equivale alla conclusione del classico patto divinatorio, un patto concluso sotto gli auspici della beneficenza.

Ma che cosa vuole sapere il consultante? 

Porre bene la domanda è un fattore di capitale importanza, quando la divinazione deve portare su di un oggetto determinato: non è il caso di lanciarsi nel campo nebuloso della buona ventura. 

«Mi dica cosa mi capiterà» non è una formula accettabile. 

Il consultante deve legare sempre il più possibile la domanda al presente. Vuole essere illuminato su di una decisione da prendere? 

Ha torto o ragione di perseverare in quel dato progetto? 

Può sperare di riuscire in ciò che ha intrapreso? 

Deve temere un insuccesso e prendere provvedimenti in conseguenza? 

La tale persona merita o no fiducia?

Il consultante non è tenuto a spiegarsi con precisione su ciò che domanda, e l'indovino non esigerà di essere informato, più di quanto sia necessario, circa i segreti della consultazione. 

La domanda può essere quindi posta in termini generali, senza tradire il suo oggetto preciso; bisogna tuttavia che l'indovino ne sappia abbastanza per non sbagliarsi nella sua interpretazione.

Perciò è nell'interesse del consultante parlare senza reticenze e facilita re il compito dell'indovino limitando il suo sforzo divinatorio.

Fissata la domanda d'accordo con l'indovino, costui mescola un mazzo comprendente i22 arcani, ed invita il consultante a dirgli il primo numero che gli viene in mente, eguale o inferiore a ventidue.

Il numero dettato dall'intuizione del consultante serve a tagliare il mazzo, indicando il numero delle carte che vanno ritirate dal mazzo stesso. L'ultima carta viene scoperta: è l'arcano affermativo. 

La cifra che esso porta nell'ordine dei Tarocchi viene annotata (22 se si tratta del Matto). Poi le carte vengono riunite e mescolate per la seconda volta.

Il consultante designa allora un nuovo numero, indicatore, per lo stesso procedimento, dell'arcano negativo, la cui cifra viene scritta a sua volta. 

Poi il mazzo, ricompletato, subisce una terza mescolatura, il consultante designa un terzo numero, che fa uscire il giudice del responso oracolare. 

Infine, quarto ed ultimo giro che determina l'arcano-sentenza.

Le cifre degli arcani usciti (da non confondere con i numeri venuti in mente al consultante) vengono addizionati. 

Se il totale ottenuto è eguale o inferiore a 22, l'arcano-sintesi è il Matto o l'arcano al quale corrisponde la cifra della somma nell'ordine numerico dei Tarocchi. 

Se la somma supera 22, le sue due cifre addizionate designano l'arcano della sintesi (23 =2 + 3 =5, 57 =5 + 7 =12, ecc.).

I quattro arcani usciti e la loro sintesi costituiscono la risposta muta dei Tarocchi. Disposta davanti al consultante, essa prende la forma di una croce. 


L’interpretazione dell’oracolo
Prima di parlare, l'indovino deve sforzarsi di risolvere una specie di equazione. 

Deve cioè stabilire in che cosa la Negazione si oppone all'Affermazione, e giustificare la Discussione che nasce da questa opposizione per provocare la Soluzione; poi la Sintesi deve ripercuotersi ai suoi occhi negli altri elementi del responso. 

Se vede chiaro in questo complesso, ha qualche possibilità di essere nel giusto, anche se si diffonde molto nell'esegesi. 

Può darsi che non riesca a precisare un pensiero attorno al quale si aggira moltiplicando le immagini, senza trovare quella che lo soddisfi. 

Qualche volta il consultante beneficia di questo caos in apparenza divagatorio, afferrando a meraviglia un linguaggio che è poco intelligibile per lo stesso indovino.

Dopo un momento di riflessione silenziosa, è opportuno affrontare l'interpretazione partendo da ciò che colpisce di più o che appare più chiaro.

L'Affermazione mette sulla strada di ciò che è favorevole ed indica ciò che è utile fare, la qualità, la virtù, l'amico, il protettore sul quale si può contare.

Al contrario, la Negazione designa ciò che è ostile o sfavorevole, ciò che bisogna evitare o temere, il difetto, il vizio, il nemico, il pericolo, la tentazione pericolosa.

La Discussione illumina sulla decisione da prendere, sul genere di risoluzione che conviene adottare, sull'intervento che sarà decisivo.

La Soluzione permette di presagire un risultato tenendo conto del pro e del contro, ma soprattutto della Sintesi.

Quest'ultima si collega, in effetti, a ciò che ha importanza capitale, ciò da cui dipende tutto.

I responsi dei Tarocchi non sono sempre limpidissimi: ve ne sono di scoraggianti, che resistono ad ogni tentativo d'interpretazione sensata. Non vanno presi in considerazione, poiché le buone risposte si distinguono sempre per la logica e per la riduzione al minimo dell'ambiguità inerente agli oracoli.

L'imprecisione oracolare, che è proverbiale, si oppone infatti ai responsi categorici. La divinazione si compiace delle indicazioni vaghe, appena sufficienti perché il beneficiario possa fame profitto aggiungendovi del suo. Nessuna prescrizione imperativa, ma suggerimenti discreti, ammonimenti velati, avvertimenti destinati a far riflettere, indicazioni di un errore inevitabile: e mai un annuncio di un avvenimento fatale, poiché tutto rimane condizionale nei confronti del possibile compimento e non vi è nulla di assolutamente certo.

Non bisogna attardarsi davanti ad un responso indecifrabile: è meglio rinnovare la domanda sforzandosi di porla con maggiore precisione, o cambiando il punto di vista. In questo caso, si procede ad una nuova consultazione il cui risultato può essere più soddisfacente.

Spesso il secondo responso illumina e chiarisce il primo. Capita che gli arcani usciti siano, in parte, gli stessi, o che offrano una sorprendente affinità di significato, come se le carte non uscissero a caso. La pratica della divinazione porta d'altronde a dubitare della casualità di incontri talvolta singolari.

L'abilità divinatoria si sviluppa con l'esercizio. A forza di studiare enigmi simbolici, l'immaginazione diventa più elastica, e finisce per acquistare una lucidità interpretativa che inizia, in modo generale, alle sottigliezze del simbolismo, permettendo di penetrare l'esoterismo di opere d'arte, di poesie mitologiche e delle religioni.

Cosa bisogna consigliare all'aspirante indovino? Questa è la domanda che abbiamo rivolto ai Tarocchi, procedendo in seguito nel modo descritto più sopra.

Gli arcani usciti sono 4, 18, 2 e 14. Le cifre addizionate danno 38, cioè 3 +8 =11. L'oracolo si presenta quindi così:
Sorpresi dalla Sintesi XI, cerchiamo di orientarci. La donna che doma il leone sembra far dipendere la divinazione dal coraggio, dall'energia morale, dalla virtù. Bisogna dunque darsi allo studio dei Tarocchi con eroismo, conquistando un tesoro analogo al leggendario Toson d'Oro?

Pur ponendoci questa domanda, diamo un'occhiata agli arcani che inquadrano la Forza. Essendo pro, l'Imperatore si mette al servizio della Forza, abbandonata invece dalla Luna, che è contro. La Papessa interviene d'altra parte per fare giungere alla Temperanza. Senza perdere di vista questo complesso, passiamo all'esame particolareggiato dell'oracolo.

L'Imperatore, che è in congiunzione con la Forza, oppone alla Luna il proprio rigoroso positivismo. La sua fissità conglomera e solidifica la fluidità lunatica. Dominando su ciò che è interiore e sul bisogno innato, fa dipendere i successi divinatori da talenti particolari che il futuro indovino deve possedere in germe. Sono indispensabili buone disposizioni naturali:

ma esse devono essere coltivate con perseveranza, e perciò è necessario il fuoco sacro rappresentato dall'Imperatore (solfo degli Alchimisti). 

L'apprendistato che si impone esige iniziativa individuale (arcano IV) poiché la sapienza divinatoria non si assimila come un sapere preso a prestito. 

L'indovino è chiamato a farsi nozioni tutte sue: ciò che avrà trovato da solo gli sarà molto più prezioso dei doni altrui. Deve compiere una conquista: quella del potere generatore di idee attinte in se stesso. Uno scolaro che recitasse la lezione imparata a memoria sarebbe un pappagallo che gioca all'indovino. Per rivelare, bisogna scoprire, e per fare scoperte bisogna possedere la perspicacia divinatoria.

Insomma, per praticare la divinazione, è bene essere nato indovino, ma le indispensabili disposizioni propizie debbono essere sviluppate con metodo e volontà.

L'opposizione della Luna sorprende, perché l'immaginazione, cui allude appunto l'astro, è l'agente che indovina: noi immaginiamo ciò che diviniamo. La Luna dovrebbe quindi essere pro e non contro. 

Eppure i Tarocchi hanno ragione, poiché l'immaginazione è pericolosa, se non è frenata e severamente disciplinata: abbandonata a se stessa, si dà al capriccio e divaga a suo piacere. 

Perché si dimostri saggia, deve essere domata come il leone della Forza, da un domatore positivo che ammette soltanto concezioni misurate e solide, come la pietra cubica che è il trono dell'Imperatore. 

Noi tendiamo a immaginare in modo giusto quando la nostra fantasia è frenata. Le ubbie. e le suggestioni fallaci costituiscono l'ostacolo alla divinazione: quindi,  sono contro. Per vincere questo nemico, è indispensabile avere dalla propria parte l'Imperatore, che personifica lo spirito deduttivo e matematico.

L'indovino, che resta intellettualmente attivo e domina la propria immaginazione, per quanto questa sia esuberante, si distingue dal visionario che non è in grado di esercitare un controllo. Capricciosa, fantastica e ribelle al lavoro applicato, la Luna deve essere ridotta in schiavitù dalla Forza, a beneficio dell'Imperatore. Questo è il senso evidente degli arcani IV, XI e XVIII.

Gli altri due confermano la lezione, poiché l'intervento del II come giudice, che formula la sua sentenza per mezzo del XIV,
ha lo scopo d'istruire l'aspirante indovino. Sollecitato da una immaginazione focosa, e nello stesso tempo frenato da un saggio spirito di ponderazione razionalista, rischierebbe di rimanere immobilizzato, senza il soccorso della Papessa.

L'arbitrato della grande sacerdotessa concilia lo sforzo immaginativo con le esigenze di una ragione serena e metodica. Se ragiona da filosofo, il poeta che vaticina guida a suo piacere il Pegaso divinatorio. Ma chi diventa indovino non può restare profano: si inizia ai misteri penetrando nel Tempio della Papessa.

Non può varcarne la soglia senza convincersi del carattere sacro della divinazione. Divinare è diverso da calcolare o da speculare profanamente. Quando lo spirito sollecita una luce, alla quale il primo venuto non può aspirare, entra in preghiera.
L'appello viene esaudito solo se l'indovino è degno del sacerdozio che esercita. La pratica divinatoria sviluppa un particolare sentimento -religioso. Il discepolo d'Iside ha coscienza di non sapere nulla, da se stesso, e sa che riesce a dire la verità soltanto facendosi interprete d'una divinità misteriosa.

Detentrice dei segreti del destino, questa divinità riserva le sue confidenze al saggio che realizza l'ideale di serenità proposto dall'arcano XIV. Il dono della lucidità viene conferito. solo allo spirito sereno, non agitato o turbato da ebbrezze. Di fronte agli ardori, alle passioni, alle febbri ed ai drammi della vita, l'indovino deve avere l'anima d'un medico pieno di compassione, ma deve avere anche un grande sangue freddo. Se si lascia contagiare dall'ansia del consultante, come potrà decifrare correttamente il linguaggio dei simboli? I desideri condivisi con troppo fervore influenzeranno le sue interpretazioni, le quali devono essere ispirate invece soltanto da una benevola neutralità. La difficoltà di rimanere lucidamente indifferente rende la divinazione più azzardata per se stessi o per gli esseri più cari che per gli amici la cui sorte non è legata alla nostra.

L'indifferenza, che nella divinazione diventa virtù, viene professata dall'Angelo della Temperanza. È un distacco che si eleva al di sopra delle miserie umane e domina le contingenze; è un modo di vedere molto largo e sempre indulgente. Colui che comprende non condanna mai: si china sulle piaghe morali e le cura con affetto. Non biasima l'errore commesso, ma lo ricorda,  per insegnare a non cadervi più. La sua missione non è predicare una morale astratta, ma dare consigli pratici, adattati alle possibilità di realizzazione. 

Esigere l'irrealizzabile, facendo appello ad una virtù assente, sarebbe un errore, dal quale il tatto
divinatorio deve salvare l'indovino. Il consiglio utile non è quello che sarebbe teoricamente il migliore, ma quello che l'interessato seguirà per realizzare il bene molto relativo di cui è capace: questo dovere effettivo è proporzionato al grado d'evoluzione di ciascuno.
La Temperanza, cui deve giungere l'indovino, gli proibisce ogni eccitazione artificiale, poiché la sua immaginazione non sarà impressionata fedelmente se verrà influenzato morbosamente da eccitanti o narcotici. Il caffè non è consigliabile, ed ancora meno l'uso smodato del tabacco: in compenso, il vino naturale non può nuocere, purché venga bevuto con moderazione.

Una leggera libazione, dopo un pasto frugale, può anzi preparare al sacerdozio divinatorio, favorito da una sensibilità raccolta.
Qui non è possibile alcuna estasi dionisiaca, nonostante l'adagio in vino veritas, poiché la Temperanza si oppone ad ogni e ebrezza e ad ogni stordimento, anche il più leggero.

In caso di torpore cerebrale momentaneo, di stanchezza o di cattiva disposizione, conviene non tentare nulla e aspettare un'occasione migliore. Non forziamo mai il nostro talento divinatorio: anche quando ci. sentiamo ben disposti, non ostiniamoci se non appare: l'indovino che non vede nulla deve rassegnarsi serenamente. Gliene verrà un vantaggio quando gli elementi della visione esisteranno realmente.


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