Dolore è il rompersi del guscio che racchiude la vostra intelligenza. Così come il nocciolo del frutto deve rompersi perché il suo cuore possa esporsi nel sole, così dovete voi conoscere il dolore. E se voi sapeste tenere il cuore in stato di meraviglia di fronte ai quotidiani miracoli della vita, il dolore vi apparirebbe non meno mirabile della gioia

(Khalil Gibran)

La natività

Trascrivo qui parte di una seduta di PGI che non era diretta a un concreto fine terapeutico. Ho scelto questa seduta non totalmente terapeutica proprio perché qui la considero particolarmente adatta a illustrare il testo centrale. Anzitutto portai la paziente alla stalla di Betlemme, dove si suppone che sia nato Gesù. Come c’era da aspettarsi, non mi fornì la visione da immaginetta che ce ne dà di solito la chiesa cattolica.

R: C’è come un’esplosione che viene su dalla terra. È molto bello.

D: Com’è questo che chiami esplosione?

R: È una luce strana, molto brillante. Invade tutto. Io la sento questa luce; la gente è come attonita. (Cerca di spiegarsi meglio) Non trovo le parole…

Coi grandi archetipi succede sempre così. Sono ineffabili. D’altra parte, si manifestano sempre in accordo con le loro caratteristiche archetipiche. Gesù Cristo è sempre luce e amore. Il che non impedisce che ciascuno senta queste manifestazioni proprie di ogni archetipo con dei tratti personali. Dopotutto nelle PGI l’archetipo si manifesta attraverso la biografia occulta del paziente, ragion per cui questo sostrato personale tinge con colori propri tali manifestazioni globali. Così F.V. vide che la luce veniva non dal cielo ma dalla terra, ma in ogni caso vide la luce che accompagna sempre la manifestazione archetipica – non umana – di Gesù Cristo. 

R: Odo una musica, ma... è un solo suono... è tremendo! Restiamo tutti senza parole, muti.

D: Quando vedi e senti tutto questo, che cos’è, come lo spiegheresti...?

R: Amore, tutto è amore.

D: Vuole darti amore?

R: Sì, per insegnarmelo.

D: Come possiamo impararlo?

R: Sentendolo e comprendendolo.

D: Come possiamo comprenderlo?

R: Non lo so… sentendo quello che sento io.

A questo punto io mantenni per un certo tempo le mie domande intorno alle impressioni che F.V. via via riceveva. Devo avvisare però che ciò è corretto solo se la terapia lo richiede. Dico questo perché è normale che gli anateorologi cadano nella tentazione di soddisfare, ad esempio, la loro curiosità approfittando di questi momenti in cui il paziente fornisce dati intorno all’archetipo indotto; o, quel che è peggio, che cerchino di sintonizzarsi direttamente con l’archetipo per iniziare un dialogo diretto con lui. Che tristezza! Tutto ciò che possono ottenere è di entrare in una dialettica assai poco terapeutica.

D: Stai vedendo Gesù nella culla?

R: Sì. È un bambino. Un neonato come gli altri.

D: Tu senti che è speciale?

Si osservi che indago sulla verità sentita, non sulla verità assoluta della religione.

R: Sì, lo sento perché è accompagnato dalla luce. Però è un bambino normale.

D: Dove si trova?

R: Tutt’attorno c’è luce.

D: Non c’è mangiatoia, né grotta, né…?

R: Vedo rocce; delle rocce a riparo, ma non è una grotta.

D: Chi c’è lì?

R: La luce mi acceca.

Di fatto, l’archetipo è la luce, l’amore. Gesù Cristo è solo l’espressione simbolica di quest’archetipo. Dico a F.V. che chieda permesso alla luce di vedere. Consiglio agli anateorologi – per molte ragioni, anche pratiche, che sorgono dalla ricerca – che in DA mantengano una relazione di personale rispetto con gli archetipi.

R: C’è una donna chinata che copre la culla.

D: È giovane?

R: Sì, molto giovane.

D: Cosa sta facendo?

R: Credo che… gli sta cantando.

D: Ci sono uomini intorno?

R: Ci sono uomini, ma molto in disparte.

Segnalo come fatto curioso che in nessuna delle PGI, alla nascita di Gesù che finora ho evocato nei pazienti, è sorta la presenza di Giuseppe.

(Joaquim Grau - Le chiavi della malattia) 





free HitCounter