L identificazione

L'identificazione

Mi accingo ad esporre un poco della mia teoria e ciò che è l’oggettività. Non dimentichiamo che stiamo tentando di spiegare il funzionamento della mente, col funzionamento della mente stessa su cui stiamo investigando. Col che è estremamente difficile ottenere una risposta adeguata. 

Le ricerche cosiddette scientifiche, utilizzano le cosiddette mappe cerebrali che guardano dal di fuori un po’ come è fatto il cervello. Si illuminano certe zone quando stanno lavorando in un determinato modo. Noi allora tentiamo di estrarre l’informazione dal cervello stesso, affinché il cervello stesso ci dica come agisce lui stesso, col che ci troviamo sempre alla mercé del cervello stesso, che è quello che ci domina. Stiamo pensando per domandare con lo stesso sistema di elaborazione. Perciò è necessario che abbiamo chiaro quali sono i due principî dell’identificazione. 

Nel Corso Base di Anatheóresis quasi sempre ho spiegato i principi fondamentali dell’identificazione; il principio di somiglianza, l’uguale attrae l’uguale (si trova nel trattato anche se succintamente) e il principio di contagio: qualcosa che è stato a contatto con il corpo, con qualche oggetto determinato, conserva le vibrazioni di quest’oggetto e può pertanto creare un ponte energetico con un’altra persona o un altro oggetto. Mi spiego: io di solito faccio un esempio delle streghe che è molto chiaro, compiere l’atto di colpire con un maleficio. Facendo la famosa bambolina il più possibile simile a quello che si vuole colpire col maleficio e agendo sopra questa bambolina, alla persona che si vuole colpire col maleficio giunge, perché l’uguale arriva all’uguale per identificazione. E se si vuole rafforzare questo gesto, le streghe ponevano capelli della persona che desideravano colpire di maleficio nella bambolina; peli o pezzi di unghie. Siccome erano streghe, ponevano anche sangue mestruale; dirò poi come mai questo “siccome erano streghe”. Mi riferisco al fatto che, essendo streghe, dovevano fare qualcosa di sudicio nel senso sudicio della parola. Le unghie e i capelli avevano senso giacché sono le parti del corpo che conservano per più tempo la capacità energetica del corpo in cui hanno vissuto, anche quando uno sia morto. La prova l’abbiamo nel fatto che ai morti continuano a crescere i capelli e le unghie per un certo tempo, ossia continuano a mantenere per qualche tempo la capacità energetica. Per questo di solito raccoglievano avanzi di unghie e capelli da mettere nella bambolina. Questo è un esempio di identificazione per contagio. 

Abbiamo visto che adesso nella nostra cultura questo si fa in un modo più innocuo ma non meno dannoso. Quando un genitore mette la maglietta di Messi o Cristiano Ronaldo a suo figlio, in realtà sta compiendo un atto per far sì che l’uguale attragga l’uguale. I calciatori oggi sono l’oggetto di adorazione, i calciatori soprattutto; è un principio magico di somiglianza. Anticamente come esempio di questa azione il principio magico di identificazione si esercitava soprattutto nei casi di cannibalismo. Il cannibalismo non era normalmente aver fame o non aver da mangiare, questo succedeva poche volte. Il cannibalismo era un atto magico che se lo traduciamo a livello domestico è un equivalente del “si diventa quel che si mangia”. Ossia un corridore, il miglior corridore della tribù avversaria o magari della propria, a seconda di che casi di abuso di autorità da parte del capo del clan, era un gran corridore. Se io mi mangio i piedi del corridore, per contagio sarò anch’io un corridore molto veloce. Non è il caso di dire che gli organi più mangiati sono certi particolari negli uomini, i più desiderati. Adesso sembra che si disprezzino, ma anticamente si apprezzava molto, senza nemmeno provare se funzionava. Curiosamente questo principio magico lo ha effettuato perfino la Chiesa stessa, perché la religione si basa sull’emisfero destro. Quando durante la messa arriva al momento della transustanziazione in cui l’ostia si converte nel corpo di Cristo, in realtà quello che fa la Chiesa cattolica è convertire l’ostia appunto in carne di Gesù Cristo vivo, carne, non simbolo. Ma questo lo facciamo continuamente, per esempio, se io desidero sembrare, essere molto alto o forte come mio nonno, automaticamente adotterò i suoi gesti, la sua postura, il suo modo di camminare etc. Mi approprierò per contagio di tutti i suoi atti per essere come lui. Questo succede più tardi, quando già c’è un risveglio dell’emisfero sinistro. 

Ecco che abbiamo da un lato i principî di identificazione, i due principî di similitudine che può essere tutto il contrario, che può portare a tutto il contrario, perché se io non mi posso identificare con mio padre per aver accumulato CAT che mi fanno porre contro mio padre, automaticamente non coglierò tale similitudine ma quel che farò sarà rifiutare mio padre e tutto ciò che ne costituisce l’imitazione. Non necessariamente, ma lo rifiuto e questo fa parte dello stesso gioco di somiglianza, solo che per rifiuto va contro mio padre, ma andrei contro di lui se non ci fosse un principio di assomigliare a colui che rifiuto? Insomma, cerchiamo di aver chiaro come funziona questo principio di identificazione. 

Nell’identificazione dobbiamo tener conto di come si elabora l’informazione. In theta l’informazione è globale, tutto è uno, tende ad espandersi, ma senza tempo, ossia una determinata esplosione di conoscenza, un’intuizione, un’illuminazione. Automaticamente si vede globalmente, ossia il cervello per via dei ritmi theta tende ad espandersi, ma non ad espandersi facendosi grande, bensì a mostrarsi con tutta la sua pienezza, che tutti siamo Uno. Non come si dice in beta che siamo uno e andiamo avanti uniti, ma è uno, un oceano. Immaginiamo l’oceano, siamo l’oceano: siamo l’oceano intero, ed in theta si mostra la totalità, beta invece quel che fa è spezzettare tale totalità. Sappiamo che è analitico, sappiamo che fa a pezzi, che è discorsivo, sappiamo come elabora l’informazione. Cos’è che tende di preciso a fare l’emisfero sinistro? Tende a rompere una parte, a cogliere una parte dell’oceano e a farne pienezza, ma di questa parte: ossia a farci noi come umani come una unità, come una totalità, tanto meglio quanto più compatta. È chiaro? È TUTTO IL CONTRARIO. Separiamo dall’oceano una parte, un pezzo, una semplice bolla, mettetela come volete. Quando ho sperimentato il principio, tempo fa, io vedevo una bolla, si formava una bolla, ed automaticamente questa bolla ha un tempo di vita con una tensione interna. Ma immaginiamola come qualcosa che vuole coagularsi, che vuole formare una totalità. Sta succedendo adesso che si sta parlando della globalizzazione: quanto più globalità tanto più separazione. 

Allora vi è uno scontro fra opposti, fra globalità globale autentica e la globalità parziale che tenta di farsi globale. Come si cerca di diventare più globale parzialmente, io, sempre più io? Mi separo dagli altri, tu pure ti separi, e anche se c’è una maggiore o minore empatia, automaticamente formiamo parte di una unità. Io sono Joaquín Grau, rendetevi conto che alla fine dell’identificazione in beta arriviamo alla concentrazione massima di identificazione, al nome. “Chi sei tu?”, “Io sono Joaquín Grau”. “Ah!” . E c’è una quantità di cose che incidono su questo chi è Joaquín Grau o non è nessuno. Non è nessuno nel senso che non c’è conoscenza di ciò che è. 

Avete mai pensato come vi sentireste se non aveste la sensazione di esistere, se non aveste un nome? Provate a pensarci. Non ci sarebbe esistenza, ci sarebbe come una specie di larva,non ci sentiremmo personalizzati, non ci sarebbe personalizzazione, la personalità sarebbe annullata. Non se ve ne rendete conto. “Chi sei?”. “… sono un uomo …”. 

Ciò supponendo di aver la capacità di avere conoscenza di essere un uomo. Per questo quando ci identifichiamo diciamo il nome, e se vogliamo diamo più dati su dove viviamo etc. etc., però non identifichiamo i contenuti interiori. Il nome sintetizza la totalità nella non-globalità, nella parzialità della nostra globalità parziale. Una cellula sta a me perché pure la cellula tende ad essere lei come unità. I virus tendono ad esserlo sotto la percezione beta che abbiamo. Se avessimo per tutto il tempo una percezione theta non vedremmo una cellula, non vedremmo un virus: vedremmo una totalità. È come se beta studiasse il corpo e vedesse il fegato, ma solo il fegato, e theta vedrebbe come minimo tutto l’uomo, tutta la donna, vedrebbe l’uomo o la donna interi con tutte le loro funzioni organiche. 

Allora, come si forma questo io capace di vedersi da fuori, capace di vedersi nel tempo? Qui ci sono due risposte e una incognita,è logico pensare che c’è una crescita come l’abbiamo nel Trattato, una crescita della frequenza cerebrale, va a velocità maggiore e crea…, ma questo è segnato dalla natura stessa, così come un rene depura l’urina, la natura ci dà un ciclo di vita ben preciso. È una bolla nell’oceano, con una tensione che alla fine si rompe, e torna all’oceano, a essere nulla, a essere totalità, a perdere l’identificazione, l’individualità. Non più qualcosa di separato dall’oceano. 

Sapete che ci sono due rami del Buddismo che vedono la sopravvivenza in modo diverso ma giocandoci, diverse reincarnazioni che portano di nuovo all’oceano della vita, all’oceano divino, che si può arrivarci in due modi senza sentirsi, senza perdere l’identità, o fondersi di nuovo con l’oceano dal quale siamo usciti come gocce d’acqua. Gli antichi egizi dicevano che siamo un raggio di sole imprigionato, tutti avevano chiaro questo meccanismo che sto spiegando. Cosicché se io non perdo l’identità torno a sommergermi nell’oceano ma non mi sommergo nell’oceano come totalità, ne sono separato e mi sento nella classica estasi normale, mistica, dove mi sento io. L’io si sente espanso, aperto, pieno d’amore, ma è l’io. Invece nell’altro modo, se io mi fondo con la totalità non sento niente, torno ad essere ciò che il Buddha chiamerebbe divinità, torno ad essere l’oceano. 

Ma come si forma ciò? Ci sono due cervelli che cozzano l’uno contro l’altro, perché uno è l’esistenza, è l’essere o stare, la lingua stessa li distingue. L’essere o avere – “ho un cancro”, non dici sono un cancro, ossia sono un io che ho il cancro; invece dici sono alto, sono allegro, sono quello, vuol dire pienezza totale dell’io. 

La sensazione che ho è che sappiamo che la crescita percettiva passa attraverso un primo impatto, che è un impatto di identificazione, che a sua volta quest’identificazione è e forma le successive analogie che avrà l’essere che nascerà, che è in gestazione. Mi spiego: sappiamo che due cellule sessuali formano uno zigote, formano una fermentazione, formano una unità, però non ci sono ritmi cerebrali, non giungiamo a delta, che il processo si trova prima di delta, e nemmeno nei ritmi delta sappiamo che cosa sta succedendo per quanto andiamo ad approfondire. Quello che però sappiamo è che se mia madre è triste quando io mi trapianto o mi trapiantano nel suo utero, io mi sento triste e sento l’impatto di identificazione con mia madre, perché sono mia madre, sono lei, non sono niente fuori di lei, sono dentro di lei come un rene, come un fegato, come un cuore che batte. Automaticamente ho un impatto di tristezza o di disamore, per capirci meglio, di disamore perché mi rifiuta. 

Questa è la spiegazione beta, ma semplicemente come un impatto di non essere accolto. C’è un impatto emozionale e sento questo impatto per identificazione, ma a partire da questo momento è l’impatto di disamore che si è generato. Attrae per analogia qualunque atto di disamore che sorga dalla madre, o qualunque atto che io intenda analogicamente come disamore, emozionalmente, che parte dalla madre. 

Ossia, l’esordio delle analogie lo formano le identificazioni. Se io non mi identifico con qualcosa non si può realizzare il processo analogico, ma ci identifichiamo sempre con qualcosa dato che la crescita neuronale necessita dei processi di identificazione; mentre crescono le reti, i circuiti cerebrali sinaptici, si stanno producendo una serie di fatti emozionali che sto raccogliendo. Quel che succede è che lo sta raccogliendo in diverse forme percettive, delta, theta… beta. 

Supponiamo per un momento, dico supponiamo, che il momento dell’arricchimento del mio cervello stia evolvendo da sé medesimo. Penso che è per la sua stessa crescita, come il fegato o come altri organi che si stanno formando mentre si cresce fino a una certa età in cui ha fine questo processo di crescita. Succede, come sappiamo, per certi ritmi cerebrali che hanno una percezione a diversi livelli , automaticamente sappiamo anche che anche gli impatti emozionali ci danneggiano, gli impatti di identificazione, attraverso l’emozione. Perlomeno sappiamo, perché non sappiamo niente di quello che sta succedendo in delta e prima di delta, ma sappiamo che ci deve essere un’ identificazione perché stiamo formando parte di un corpo diverso dal nostro. La prova è che dopo stiamo dicendo quello che ho detto prima: sono contento, ossia, io qui e ora sono contento, non sono contento, non sono un contento continuamente, perché separiamo l’essenza, separiamo la pienezza, rispetto a un’altra identità. 

Mi spiegherò meglio; vediamo di seguire il processo perché qui è dove sta il nucleo difficile da capire. Io sto ricevendo impatti dal momento in cui entro nell’utero di mia madre, questi impatti, per identificazione, stanno creando delle analogie gradevoli o sgradevoli, piacevoli o spiacevoli. Queste analogie interferiscono, si introducono nei processi percettivi che sto vivendo. Io sto creando delle reti percettive cognitive che vengono alterate da questi impatti che mi stanno giungendo. Mentre sto crescendo, mi trovo intossicato oppure mi trovo gradevolmente bene, non tossico, rispetto agli impatti che giungono, che mi giungono, che ho, perché è come se fossero miei rispetto a mia madre perlomeno, benché vengano da mio padre passando attraverso mia madre. 

Qui formiamo due entità, da un lato l’essere dell’esistenza – l’esistenza è emozionale – e l’essere che chiamo – che è – la statua che stiamo creando secondo gli impatti: stiamo rifiutando, stiamo accettando, stiamo giustificando eccetera. Ossia c’è una attività emozionale che nello stesso tempo che si produce in una crescita normale, altrettanto si produce una attività mentale, non emozionale; i due cervelli stanno funzionando, ma stanno funzionando in un modo dis-sincronizzato. Che è ciò che adesso, in Anateoresi, cerchiamo di risolvere; come si produce questo squilibrio? 

Supponiamo che io rifiuti degli impatti sgradevoli attraverso l’esistenza, non attraverso l’io, ma l’io theta e che io stia buttando fuori, e mi giunge il concetto tempo. Il concetto tempo mi permette appunto, nella lotta di thanatos – vita e morte, piacere e sofferenza – mi serve per uscire appunto dall’impatto dell’emozione negativa, del danno. Perché l’io, qui e ora, theta è nel mio corpo; ho un cancro, non sono un cancro, in certi momenti sono triste, in certi momenti sono allegro, in certi momenti mi succede la tal cosa, qui e ora, io. Ma non fuori di me, né lontano da me ma io come entità, come io. 

Automaticamente questo impatto che infastidisce passa nella mente che si sta formando, la mente che non è emozionale: beta. Beta raccoglie l’informazione e cerca di stemperarla rispetto a ciò che sta succedendo, perché quel che succede sarebbe, se non si giustificasse, sarebbe che beta agirebbe come un meccanismo di equilibrio per non soffrire appunto gli impatti emozionali; mi succedono e sto formando una statua di impatti emozionali, di impatti mentali che non sono, che stanno formando un io, un io virtuale. È come se mi vedessi al computer o su uno schermo. 

A sua volta il tempo, come ho detto, mi permette di pensare, se ho concetto di morte, all’esistenza. In beta, mi permette di giocare con la capacità di credere che c’è un’altra vita perché il tempo mi permette di passare a un passato, di passare a un futuro… a un Aldilà, al di là della morte, cosa che non mi permette in theta. 

Theta è impatto che sente e la cosa finisce lì. Non c’è altra comprensione di quella che sto sentendo in questo momento, ma non c’è una speculazione, del tipo se c’è vita al di là, al di qua, perché per questo è necessario il concetto tempo. 

Questo concetto, questo stato “fuori” mentale, non emozionale, permette a sua volta di formare progressivamente un io, un io fittizio, un io virtuale. Un io virtuale che a sua volta si compensa, si giustifica, per cercare il suo equilibrio sul piatto della bilancia di essere o non essere, automaticamente si gioca con la ricerca dell’equilibrio. Se c’è una compensazione è necessaria una crescita dell’io così grande da formare un ego, è indurimento della personalità. 

Questo può arrecare una serie di difetti mentali evidenti. Se io ho bisogno di equilibrare i due emisferi cerebrali, ho bisogno di compensare certi atti per il fatto che sono andato al di là di dove devo andare, sono andato oltre l’io, l’io è cresciuto, ha coagulato al di là di dove deve essere, si è fatto una massa troppo pietrosa. Automaticamente compenso se non mi piace la situazione, e se ho un sentimento d’inferiorità mi mostro con un sentimento di superiorità. 

Ma tutto questo lo mostro all’interno di un gioco fra analogico e a sua volta anche un gioco beta. L’eccesso di compensazione o la necessità di compensazione eccessiva può portare… È una follia, a volte porta alla follia con la rottura, può ugualmente essere una credenza di santità come può sorgere una diabolica credenza, perché entrambi i casi sono follia. Follia è una fede totale e completa, solo che è portata al campo della santità, e follia è a sua volta un rifiuto di tutto ciò che mi circonda e indurire il mio io in modo tale che combatto tutto ciò che non è io. Metto su per esempio l’Inquisizione, mi converto in un Torquemada. C’è un gioco di compensazioni dentro tutto questo gioco di crescita. In questo gioco di crescita ci troviamo in un equilibrio di un emisfero con l’altro emisfero cerebrale. 

C’è un io, delle emozioni che continuano a imperare. Se io mi arrendo mi piego davanti alle emozioni che mi giungono e mi identifico con queste emozioni. Automaticamente attraverso tristezza, allegria durante il giorno, posso passare per mille sensazioni se mi identifico eccessivamente con l’esistenza, con theta, con le emozioni. Ma se a sua volta indurisco l’io per allontanarmi da questi sentimenti di allegria o di tristezza, che perturbano la mia vita e mi fanno sentir male, indurisco l’io per allontanarmi da quest’altra corrente. All’indurire l’io mi separo a tal punto dai sentimenti che posso trasformarmi in uno psicopatico. 

Non sento, sono in un mondo mentale, in un mondo virtuale, in un mondo in cui c’è tempo, in cui posso giocare con il prima, con l’aldilà, ma non c’è empatia, non c’è amore, non c’è identificazione assoluta con l’altro. Ma può essere che l’io e l’esistenza theta emozionale si sintonizzino e viaggino insieme nel senso di riconoscere ogni movimento dell’io e travasarlo dall’io all’altro lato, e da quel lato a questo, e che i due emisferi cerebrali siano l’origine e formino una unità sincronizzata e armonica di entrambi gli emisferi cerebrali. 

Ma c’è un elemento che sorge ora. In questo cervello che è stato danneggiato attraverso theta e che ha creato un essere virtuale beta, dentro questo cervello c’è un tentativo di crescita neutra, normale, una crescita percettiva basata sui ritmi della natura che abbiamo danneggiato attraverso i CAT, e separandoci e creando l’essere, un essere che è un io. 

Allora ci sono due vie, o fa parte di una crescita naturale, che è quello che sembra, o c’è una ragione per pensare che questi stessi giochi di questi due emisferi cerebrali, con i loro danni e le loro gratificazioni, stanno creando una proiezione di via aldilà degli stessi sentimenti, della stessa attività dell’io personale. Detto in altro modo, c’è una via, una meta normale o naturale dove ci conduce l’evoluzione? O stiamo creando noi l’evoluzione attraverso questo gioco dei due emisferi cerebrali in modo tale che è una proiezione della nostra situazione attuale? 

Se fosse una proiezione sorge qui… il concetto di archetipo, fate attenzione che in ogni cultura c’è un totem, qualcuno che difende il gruppo, l’etnia, il paese, quel che sia, il pensiero collettivo, non quello globale, non quello totale collettivo. Nella nostra cultura cattolica c’è la figura di Gesù Cristo, come archetipo, ci difende e al tempo stesso dobbiamo essere come lui, altrimenti il totem viene contro di noi. Ma come si forma questo archetipo per noi? Sorge spontaneamente perché fa parte di un processo in cui c’è un fuoco di attrazione che va dalla via evolutiva per se, per la propria essenza o lo creiamo noi? 

Perché la figura di Gesù Cristo non è la figura di un uomo che è stato molto buono e lo identifichiamo col figlio di Dio, ma di qualcuno che polarizza il nostro pensiero tutto, qualcuno che ci dice la via è questa per giungere a quest’altro, per proseguire il cammino evolutivamente. 

Non so, io credo che fa parte del gioco naturale di tutte le culture; nella cultura mitraica avevano un dio dell’amore che si chiamava Mitra, finché fu superata la sua essenza amorosa.
Anche Vişņu fu simbolo dell’archetipo dell’amore, di una cultura dell’amore che tutto il mondo seguì fin che fu superata e venne un altro dal profilo più adatto. In questo momento sembra che non ci sia un archetipo forte. Pare che l’archetipo chiamato Gesù sia sempre vivo, ma si sta spegnendo e ne sorgerà un altro. Però c’è una totale mancanza di controllo perché manca un archetipo. L’archetipo è il punto di globalizzazione della collettività. Che è anche ciò che dobbiamo guardare. 

Una cosa va detta, che fa parte già più diretta dell’identificazione che possiamo utilizzare, che è l’importanza dell’identificazione nel bebè, nell’infanzia. Ho già fatto presente che nell’infanzia possiamo lavorare perché già si sono già formati dei CAT, sono già formati i danni, giacché vengono da prima, dal grembo materno, da altri ritmi inferiori, ma vengono già formati, sono già analogie. Più che identificazioni, si sta realizzando l’identificazione con papà soprattutto in un momento determinato. 

Quando sta sorgendo beta, che sia sorta in un modo o in un altro, che non è chiaro com’è. Quando sta sorgendo beta l’identificazione con papà e mamma ha molta importanza perché è ben vero che il bambino arriva già danneggiato, ma è anche vero che è un’epoca in cui il bambino ancora non ha coagulato l’io totalmente, di modo che non è una statua pietrosa di granito che non si possa modellare. 

Se viene con un CAT di disamore, per esempio, l’atteggiamento dei genitori in questa infanzia può indebolire questo CAT, o al contrario, secondo come sia il loro atteggiamento, può potenziarlo. Ossia l’atteggiamento dei genitori può agire sull’infanzia potenziando o stemperando, secondo il caso, secondo il bisogno del bambino, i CAT che porta con sé. 

Perciò si può migliorare la situazione del bambino, si può ancora agire, non in ISRA necessariamente ma preconoscendo tutto, facendo attenzione al bambino e vedendo quello che gli succede. Ora, questo suppone anche che papà e mamma siano puliti da CAT, perché se no, che sia per la cultura imperante o per i danni, quello che fanno non è sistemare ma sregolare ciò che sta succedendo nel bambino. Sempre che rispettiamo il bambino in modo naturale e non lo forziamo, possiamo agire su di lui, e sempre agendo sull’amore, l’empatia, l’accoglienza. Il fatto è che ci sono dei limiti, non una accoglienza che sia così eccessiva da essere una resa da parte del bambino che si converta in una identificazione o quasi possesso totale del padre o della madre, il che non è buono. 

Il fatto è che siamo fatti di spezzoni di identificazione, e pertanto in quest’epoca in cui ancora non ha coagulato l’io possiamo ancora agire. Una volta che l’io resti solidificato ormai si è chiuso il processo, sei quel che sei tanto theta come beta e ormai sei vittima di un processo di sincronizzazione o non-sincronizzazione, a seconda. 

E questo si nota nel fatto che ti trovi a giocare con il come e con il perché. Analogia è come: cammino come mio padre, semplicemente all’inizio cammino come mio padre perché non c’è un perché. Il perché è beta, theta è come, una analogia. Ma perché cammini come tuo padre? Questo lo pone già beta, perché voglio capire essere come lui, con tutte le sue virtù, alto, bello… Questo perché che è beta arriva dopo, ciò nonostante è al principio quando l’identificazione si realizza. 

Tutta la conoscenza viene per induzione; gli alberi, la semente che cade a terra, la terra l’accoglie, la terra madre, l’utero della terra lo accoglie, cresce l’albero, però arriva l’inverno e le foglie caduche muoiono anche se rinascono in primavera, è una induzione. Io sto vedendo nella natura tutto questo; io vidi che gli aucas imitavano in tutto la natura, quando vanno a cacciare la scimmia fanno un suono con la bocca che è lo stesso strillo della scimmia, e la scimmia, perché l’uguale attrae l’uguale, avanza un po’ e si pone nelle zone chiare perché possano spararle, si pone più in vista. È come se parlasse il linguaggio della scimmia per attrarla, questo precisamente è un atto di analogia perché da adulto già sa che così può cacciare la scimmia che è il suo pasto. Il perché è beta, ma quando ancora non giungiamo a beta, ci dedichiamo semplicemente a imitare. 

Io sono convinto, totalmente convinto che molte malattie che capitano nelle famiglie, dove tutti muoiono della stessa cosa, quasi tutto quello che viene considerato genetico, è per identificazione: se tuo padre muore di una malattia e ti ha fortemente colpito, tu automaticamente per identificazione generi la via per morire in questo modo perché lo porti dentro per identificazione nella tua esistenza. Io per esempio mi ricordo di mio padre, io non dico che quello che mi succede nella gamba, questo che ho, ma a me sono venute delle immagini un mese o due fa, chiarissime di mio padre quando moriva, stava delirando e il calore del corpo gli stava salendo lungo il corpo e usciva dalla testa. Ossia, siccome stava morendo e qualcosa usciva dal suo corpo come un’energia che si allontanasse, e mi ricordo che io toccavo la sua gamba fredda ed era già morta, ossia il freddo della morte stava sorgendo e salendo. Quest’immagine che mi colpì, non c’è dubbio, può portarmi ora ad alcuni determinati i danni per analogia. Non credo, perché lo sincronizzo, ce l’ho già chiaro. Credo che è anche chiaro, che in ogni processo di identificazione c’è una forza tremenda affinché viviamo e moriamo come l’altra persona, e in questo caso stiamo attirando le stesse morti e malattie, una tendenza alla stessa malattia. È genetica? Non lo so, ma credo che stiamo abusando di questo genetico. Adesso ogni cancro è genetico. Ma io non ho chiaro se è genetico. 

Io ho chiaro semplicemente che ci sono determinati pensieri; se viene un momento in cui considero che ormai devo fermarmi, va bene entrarci nei problemi, in considerazioni eccetera e che devo fermarmi. C’è una corrente in me a andare avanti che cozza con questo pensiero e mi può produrre o mi ha prodotto, non lo so, un’immobilizzazione, perché sto materializzando precisamente quello che c’è nel pensiero. Stiamo materializzando idee. Nel corpo si materializzano i diversi tentativi di gratificazione o di danno, o di vivencias di danno che ci sono nella mente. Il corpo lo mimetizza automaticamente e lo sente, e ci troviamo con diverse malattie che si identificano, che provocano una compensazione, o come ho detto prima, una giustificazione o una resa. 

Una bassa autostima è accettare una resa, sentirla. Combatterla è compensarla, accettarla e cercare di non farsene danneggiare è giustificarla, tutto questo lo fa l’io, lo fa l’essere e appunto toglie dolore e sofferenza all’esistenza. È come ho detto prima, non sarà che beta è un processo percettivo che quel che tenta di fare è togliere la sofferenza di theta, la sofferenza dell’esistenza in questo mondo e passarla a un essere virtuale che non ci fa tanto male perché è fuori di noi? con il quale si giustifica attraverso il tempo,attraverso la capacità del tempo il fatto che si maneggi la telecamera con la percezione extrauterina. 

Beh, con questo ce n’è abbastanza da considerare. 

Questo casino che ho appena buttato lì, che ha evidenti difetti e perciò non si trova nel Trattato, perché tutto questo non è consolidato. 

Siamo qui per discuterne, non per accettarlo. Ieri ho detto che, come il Buddha, non è verità quello che dico. Se è verità, non lo so, non credetemi, ma se è verità sperimentatelo, discutetelo, commentatelo e se è sbagliato, è sbagliato. Però non credetemi!



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